Una variante che sarebbe meglio non approvare
PIOMBINO 25 ottobre 2016 — Non c’è molto da commentare sulla Variante al Piano Strutturale e al Regolamento urbanistico di Piombino poiché, come dichiara lo stesso Comune nel titolo, altro non è che la trascrizione negli strumenti urbanistici del Piano industriale del gruppo algerino Cevital, il cosiddetto masterplan “Aferpi”, già ampiamente commentato da Stile Libero. È una variante dichiaratamente ad personam, sin nella scrittura delle norme. Quello che resta impresso, invece, è l’assenza di una pur minima progettualità sui processi indotti dalla gigantesca dismissione dell’area a caldo dello stabilimento siderurgico. Questa sì davvero epocale, poiché, con lo spegnimento dell’altoforno, della cokeria e dell’acciaieria, centinaia di ettari di terreno hanno perso la loro secolare funzione industriale siderurgica e aprono scenari di riconversione e di riqualificazione urbana di enorme rilevanza e impegno progettuale. In gioco sono la natura stessa della città e il suo futuro. Impegno di per sé arduo per qualsiasi contesto territoriale, tanto più complesso in una città-fabbrica come Piombino dove vita e industria sono state a lungo un binomio inscindibile, sia sotto il profilo sociale sia sotto quello urbanistico. Il cambiamento di scenario, seppur paventato da lungo tempo e in qualche misura anticipato con la pianificazione urbanistica degli anni 90, che, per la prima volta, si pose il problema delle dismissioni e della riconversione di vaste porzioni dello stabilimento siderurgico, sembra oggi aver colto di sorpresa l’amministrazione comunale. Mentre si comprendono le ragioni che hanno spinto il Comune e le istituzioni in generale a solidarizzare con la lotta dei lavoratori ex Lucchini nella difesa dell’occupazione, meno comprensibile è l’assenza di una visione autonoma del governo del territorio in una città che, da almeno tre decenni, enuncia propositi di riconversione economica e di riqualificazione urbanistica. Propositi, per la verità, mai praticati con la necessaria determinazione viste le palesi contraddizioni strategiche, come testimoniano le vicende della variante urbanistica del 2009 con la quale il Comune consentiva all’allora Lucchini di costruire una nuova acciaieria nel cuore della città (il minimill e tutto il resto), nelle aree di Città Futura che in precedenza era state sottratte agli usi industriali. Scelte in contrasto con i propositi della riconversione, addirittura confermate nel regolamento urbanistico del 2012 quando era noto che il minimil nelle aree di Città Futura non sarebbe mai stato realizzato.
Non vi è dubbio che le aree che si sono liberate con la chiusura dell’ area a caldo, per estensione e posizione geografica, sono determinanti per il futuro di Piombino. Da un lato pongono enormi problemi (in primis quelli della disoccupazione indotta e del bisogno di gigantesche bonifiche ambientali), dall’altro offrono straordinarie opportunità di rigenerazione, ma solo se collegate ad una visione organica della città e del territorio e a previsioni attendibili sotto il profilo della fattibilità. Il problema del riuso e della riqualificazione di quelle aree non è solo questione piombinese. Al loro interno devono trovare soluzione problemi di rilevanza regionale e nazionale. Tra questi:
- la messa a punto di realistici progetti di bonifica, senza i quali nessuno dei propositi di rigenerazione potrà essere attuato;
- l’adeguamento del sistema infrastrutturale costituito dal porto, dalla statale 398 e dalla ferrovia Piombino-Campiglia;
- le grandi opportunità che si aprono per l’insediamento di nuove imprese nei territori dismessi in prossimità del porto, una volta bonificati, senza bisogno di procedere ad ulteriori quanto improbabili urbanizzazioni di suolo, come nel caso delle aree agricole di Colmata e più in generale delle nuove urbanizzazioni per fini produttivi che si prevedono ancora in Val di Cornia;
- la valorizzazione del patrimonio storico culturale di cui è senza dubbio depositario lo stabilimento siderurgico dismesso, peraltro in un contesto territoriale di stratificazione millenaria di lavorazioni metallurgiche che ne fanno un unicum d’interesse mondiale e che, nei decenni passati, ha costituito uno dei temi fondanti del sistema dei parchi culturali e naturali della Val di Cornia.
Di tutto questo non c’è traccia nella Variante che il Comune sta approvando. A Piombino c’è solo Cevital, interlocutore unico nei decenni (secoli?) a venire per tutte le trasformazioni territoriali e del suo destino economico. Nelle sue mani sono già oggi 483 ettari di terreno. Solo 169 sono di sua proprietà, mentre gli altri 314 sono in concessione dallo Stato: 269 del demanio bonifica e 49 del demanio marittimo. Ai terreni in concessione si dovranno aggiungere altri 49 ettari di demanio marittimo e 265 di demanio bonifica. In totale Cevital disporrà di 797 ettari di terreno: il 21% di proprietà e il 79% dello Stato. Si tratta di territori immensi, vasti quanto il resto della città.
Tra questi ci sono i territori tra Colmata e la foce del fiume Cornia sui quali dovrebbe sorgere la nuova acciaieria (con un nuovo forno elettrico e un nuovo treno di laminazione) per la quale si prevede, però, di utilizzare anche 76 ettari di aree umide e palustri. Sono le aree del Quaglidromo alla foce del Cornia che in passato erano state tutelate e che ora vengono rese disponibili per l’industria, mentre si lasciano al posto loro decine di ettari di discariche abusive e milioni di metri cubi di rifiuti industriali (a Ischia di Crociano e a monte della Chiusa di Pontedoro) che il Governo, consapevolmente, non ha trasferito a Cevital, lasciando però insoluto un gigantesco problema ambientale e territoriale.
Ci sono 112 ettari per la logistica portuale che andranno ad aggiungersi ad altre decine di ettari di aree demaniali marittime che l’Autorità Portuale ha già concesso per oltre 50 anni a Cevital, da infrastrutturare e collegare alla ferrovia pubblica da potenziare.
Ci sono 47 ettari di terreno per la grande industria agroalimentare a ridosso del Cotone.
Ci sono 23 ettari per un grande comparto produttivo, artigianale e commerciale, tra il Cotone e via della Resistenza, contiguo alle aree comunali di Città Futura.
C’è il nuovo tracciato della SS.398 che, ricalcando quanto proposto dal masterplan Aferpi, lambisce gli edifici del quartiere Cotone-Poggetto, segue la vecchia provinciale fino a via della Resistenza e alla rotatoria di via Pisacane/via Cavallotti per poi proseguire per il porto lungo le strade esistenti di via Portovecchio, via Pisa, viale Regina Margherita. Una soluzione che soddisfa gli interessi di Cevital, ma non risolve affatto né i problemi del porto, né quelli della città.
A fronte di scenari di trasformazione così rilevanti, desta poi sconcerto la vaghezza (o per meglio dire l’inesistenza) di sia pur minime valutazioni di fattibilità. I propositi della Variante Aferpi poggiano sulle risorse finanziarie del gruppo Cevital (ma la capacità d’investimento del gruppo algerino sta dimostrando palesi difficoltà) e sulla disponibilità di quelle pubbliche per le bonifiche, la SS.398 e la ferrovia, senza le quali molti dei propositi sono destinati a restare solo sulla carta.
Lo scarto tra ambizioni e realtà è evidente, a partire da quelle del privato Cevital. Sulle nuova acciaieria si sono già accumulati gravi ritardi e molti dubbi si addensano sul suo futuro. Non si conoscono piani, progetti e risorse effettivamente disponibili per dare avvio al piano della logistica portuale, come non c’è nessuna indicazione sulle risorse e sulla tipologia dell’industria agroalimentare. Niente di concreto emerge sulla natura e sulla fattibilità del comparto produttivo artigianale-commerciale previsto tra il Cotone e via della Resistenza dove dovrebbero collocarsi non meglio precisate “funzioni produttive a basso impatto ambientale, commerciali di servizio, oltreché l’incremento delle dotazioni urbane”. Nulla si dice, però, sui reali fabbisogni, su cosa siano le dotazioni urbane da incrementare, su chi e quando dovrebbero essere realizzati questi propositi. La Variante mette nel conto che Cevital, proprietario di quelle aree, non faccia nulla. In tal caso il Comune si è riservato la possibilità di attuare direttamente quelle previsioni con un piano attuativo d’iniziativa pubblica. Nello stesso tempo, però, ammette che tutte le previsioni che interessano quelle aree sono tra loro interdipendenti e che la vaghezza della Variante urbanistica non consente di definirne con chiarezza le loro relazioni. Ma, ancora una volta, desiste dal ricercare un proprio autonomo punto di vista e chiede a Cevital di presentare un ennesimo masterplan che comprenda le aree di sua proprietà (destinate all’industria agroalimentare, alle attività artigianali-commerciali e a non meglio precisate dotazioni urbane) da estendersi addirittura anche a quelle di proprietà comunale di Città Futura e al quartiere residenziale del Cotone-Poggetto. Uno schema che ribalta la gerarchia tra interesse pubblico e interesse privato, ponendo in capo al privato Cevital non solo la definizione urbanistica delle aree sua proprietà, ma anche di quelle comunali e di interi quartieri residenziali. Un’abdicazione al ruolo istituzionale che compete al Comune.
Se i propositi di Cevital sono vaghi e non supportati da valutazioni di fattibilità, quelli pubblici non stanno affatto meglio. Per le bonifiche del SIN, per le quali negli anni passati sono stati sottoscritti Accordi di Programma che sfioravano il miliardo, si dicono oggi disponibili solo 50 milioni di euro: un’inezia con la quale saranno affrontati ben pochi dei problemi di Piombino. Anche per il prolungamento della SS398 fino al porto (quello esistente per il quale venne concepita quella strada) si dicono disponibili 50 milioni di euro (cosa che non poggia ancora su atti ufficiali) che, bene che vada, consentiranno di realizzare un primo lotto fino a Gagno per poi riportare il traffico su Viale Unità d’Italia. Tutta l’attenzione sembra ora concentrata su come collegare l’ampliamento a nord del porto, ancora da completare. Il rischio è quello di non dare soluzione né al vecchio né al nuovo porto, inopinatamente costruito senza strade d’accesso.
Si viaggia dunque a fari spenti, ma nello stesso tempo si pianificano senza esitazione centinaia di ettari di territorio come se una luce illuminasse il futuro di Piombino per almeno mezzo secolo. Il faro è quello del gruppo Cevital e tutte le istituzioni sembrano esserne soddisfatte.
Lo è il Governo che, con gli Accordi sottoscritti nel 2015 per la cessione a Cevital dell’ex Lucchini in amministrazione straordinaria, sembra più interessato ad annunciare su scala nazionale la risoluzione del caso Piombino (divenuto addirittura un modello per la risoluzione delle crisi industriali complesse) che a capire concretamente la fattibilità dei propositi enunciati e le risorse effettivamente necessarie e disponibili, pubbliche e private.
Lo è la Regione che, dopo aver sposato l’obiettivo che a Piombino si deve continuare a “colare acciaio”, sembra agire con il solo scopo di assecondare i propositi del gruppo Cevital su porto, logistica, agroalimentare, assetti delle infrastrutture pubbliche, ignorando altri potenziali di riconversione e, purtroppo, senza adeguate valutazioni d’impatto ambientale dei nuovi impianti industriali previsti, taluni a ridosso degli abitati.
Lo è il Comune di Piombino che, con la Variante Aferpi, ha assunto la paternità di una pianificazione maturata altrove, preoccupandosi solo di dimostrare che è tutto coerente con quanto immaginato con le precedenti pianificazioni, anche quando sono evidenti le incongruenze, come per il tracciato della SS398, le aree umide del Quagliodromo, le zone artigianali-commerciali tra il Cotone e via della Resistenza, la coerenza tra fabbisogni e previsioni e tante altre cose ancora.
Questo è il clima che permea la cosiddetta Variante Aferpi: assecondare il gruppo Cevital e sperare che faccia tutto ciò che ha promesso. Il resto è fastidio, disfattismo, protesta inconcludente. È il clima peggiore per affrontare la grande sfida che hanno davanti Piombino, la Val di Cornia, la Toscana e l’Italia. Servono concretezza, realismo, gradualità e nello stesso tempo un grande sforzo di immaginazione e di creatività, che sembrano mancare in questi difficili anni, a Piombino e non solo.
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Articolo molto correlato sotto l’aspetto tecnico-amministrativo ma voi (alcuni hanno amministrato la città negli anni passati) al di là di quanto scritto cosa proponete praticamente per risolvere questi problemi? Non ho mai letto una parola su questo, e quindi è troppo facile parlare, scrivere senza dare soluzioni reali a quelle che vengono proposte.
Caro signor Pier Martel, la ringraziamo per il giudizio che esprime sull’articolo e ci permettiamo di precisare che Stile libero Idee dalla Val di Cornia è un rivista on line di cultura e politica che cerca di ospitare e fare analisi e valutazioni e con questo indicare linee di ricerca e approfondimento e offrire spunti di riflessione. Giudicheranno i lettori se lo fa bene o male ma questa e solo questa vuole essere la sua funzione.