Uno Nessuno Centomila al Teatro dei Concordi

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pervenuta in redazione

CAMPIGLIA 5 aprile 2018 — Nel­l’am­bito del­la sta­gione artis­ti­ca 2018 pro­mossa dal Comune di Campiglia Marit­ti­ma, sabato7 aprile, alle 21.15  al Teatro dei Con­cor­di, andrà in sce­na Uno Nes­suno Cen­tomi­la, con Enri­co Lo Ver­so e per la regia di Alessan­dra Pizzi (ambedue nel­la foto in alto a sin­is­tra, ndr).
L’at­tore paler­mi­tano darà cor­po e voce ai per­son­ag­gi del roman­zo più cele­bre di Piran­del­lo, ren­den­do omag­gio ad uno dei più gran­di dram­maturghi di tut­ti i tem­pi.
Acclam­a­to dal­la crit­i­ca e dal pub­bli­co, soprat­tut­to dei più gio­vani, lo spet­ta­co­lo ha rice­vu­to nei giorni scor­si a Bus­to Arsizio il “Pre­mio Delia Cajel­li per il Teatro”, nel­l’am­bito del­la Sec­on­da Edi­zione delle Gior­nate Piran­del­liane, pro­mosse dal­l’as­so­ci­azione Edu­carte in col­lab­o­razione con il Cen­tro Nazionale Stu­di Piran­del­liani di Agri­gen­to. Nel­la scor­sa sta­gione il Pre­mio Fran­co Enriquez per la migliore inter­pre­tazione e la migliore regia. Ospite dei più impor­tan­ti fes­ti­val e teatri nazion­ali ed inter­nazion­ali, da oltre un anno Uno Nes­suno Cen­tomi­las­ta per­cor­ren­do l’Italia in una lun­ga e for­tu­na­ta tournée che sino ad ora ha reg­is­tra­to il sold-out qua­si ovunque.
Defini­to dall’autore in una let­tera auto­bi­ografi­ca come “il più amaro di tut­ti, pro­fon­da­mente umoris­ti­co, di scom­po­sizione del­la vita”, Uno Nes­suno Cen­tomi­la è l’adattamento teatrale del­la sto­ria di un uomo che sceglie di met­tere in dis­cus­sione la pro­pria vita, a par­tire da un det­taglio min­i­mo, insignif­i­cante. Il pretesto è un appun­to, un’osservazione banale che viene dall’esterno. I dub­bi di un’esistenza si dipanano attorno ad un par­ti­co­lare fisi­co. Le cen­to maschere del­la quo­tid­i­an­ità, las­ciano il pos­to alla ricer­ca del Sé aut­en­ti­co, vero, pro­fon­do. L’ironia del­la scrit­tura rende la situ­azione para­dos­sale, grottesca, accen­tua gli equiv­o­ci. La vita si apre come in un gio­co di scat­ole cine­si, e nel fon­do è l’essenza: abban­donare i cen­tomi­la, per cer­care l’uno, a volte può sig­nifi­care fare i con­ti con il nes­suno. Ma forse è un prez­zo che con­viene pagare, pur di ass­apo­rar­la, la vita.
Avrebbe volu­to che Piran­del­lo fos­se vivo, spie­ga Alessan­dra Pizzi, per mostrar­gli la grandez­za del­la sua paro­la, l’attualità del suo mes­sag­gio, chieden­dosi, nell’osservare l’immobilità del pub­bli­co ad ogni spet­ta­co­lo, se Piran­del­lo fos­se mai sta­to con­sapev­ole delle con­seguen­ze che avrebbe potu­to pro­durre la tumul­tu­osa por­ta­ta del­lo stes­so.
Da qui l’idea di una nuo­va ed orig­i­nale mes­sa in sce­na vol­ta a ren­dere la peren­nità del mes­sag­gio piran­del­liano, l’atemporalità del pro­tag­o­nista, uomo di ieri, di oggi, di domani.
In for­ma di monol­o­go, il testo è affida­to al rac­con­to e alla bravu­ra di Enri­co Lo Ver­so che, dopo anni di assen­za dal teatro, tor­na sul pal­cosceni­co per dar vita ad un con­tem­po­ra­neo Vitan­ge­lo Moscar­da, l’uomo “sen­za tem­po”, e ai per­son­ag­gi del roman­zo, in un alles­ti­men­to min­i­male ma mutev­ole in ogni con­testo. Una sor­ta di sedu­ta psi­coter­apeu­ti­ca, da cui ci si sente irri­me­di­a­bil­mente attrat­ti, per affon­dare le mani nel­la pro­pria mente, incon­sapevoli degli sce­nari che potreb­bero aprir­si.

Uffi­cio stam­pa Comune di Campiglia

Nota di Alessan­dra Pizzi

Avrei volu­to che Piran­del­lo fos­se vivo, per mostrar­gli la grandez­za del­la sua paro­la, la con­tem­po­raneità di un mes­sag­gio, più attuale oggi a 100 anni dal­la sua for­mu­lazione, il bisog­no impel­lente, nec­es­sario, aut­en­ti­co del pub­bli­co di approvvi­gionar­si del­la conoscen­za di sé, di leg­gere per provare a decod­i­fi­care quei seg­ni del­la quo­tid­i­an­ità come cod­i­ci di acces­so ai mean­dri delle pro­prie emozioni. Mi chiedo ogni sera, osser­van­do il pub­bli­co che, immo­bile, assiste allo spet­ta­co­lo, se Piran­del­lo fos­se vera­mente con­sapev­ole delle con­seguen­ze che la por­ta­ta del­la forza tumul­tu­osa, di quel­la giustap­po­sizione di pen­sieri, di quel­la serie, inter­minabile, di que­si­ti, del­la ricer­ca sman­iosa di risposte, avreb­bero potu­to pro­durre sul pub­bli­co. O se, come spes­so accade, il risul­ta­to abbia super­a­to le inten­zioni. Di cer­to nel suo pen­siero e nel­la sua opera c’è la con­seg­na al mon­do del fardel­lo del­la conoscen­za, che è peso per la pre­sa in car­i­ca di sé stes­si, ma anche leg­gerez­za per la scop­er­ta mer­av­igliosa di quel­la bellez­za che ad ognuno la vita ris­er­va.
Uno, nes­suno e cen­tomi­la è il roman­zo chi­ave: non in quan­to apo­teosi o sum­ma del pen­siero, ma quan­to incip­it per un’analisi intro­spet­ti­va e macro­scop­i­ca sulle dinamiche esisten­ziali, ma anche socio-cul­tur­ali del­la soci­età. Uno, nes­suno e centomila“apre”, la mente ari­f­les­sioni e a dub­bi, il cuore alla ricer­ca del­la pro­pria essen­za, ma soprat­tut­to apre alla vita, affinché scel­ga la for­ma migliore con cui rap­p­re­sentare l’individuo.
Ho rac­colto l’eredità di questo pen­siero, più per dovere che per amore per l’arte. Il dovere di chi fa questo lavoro e che è chiam­a­to ad inter­pretare stru­men­ti di conoscen­za, inven­tan­do speci­fi­ci e lin­guag­gi in modo da ren­der­li acces­si­bili a tut­ti.
Ecco che UNO NESSUNO CENTOMILA, nel ria­dat­ta­men­to del testo reso in for­ma di monol­o­go, che ho volu­to dar­gli diven­ta il pre­sup­pos­to per un teatro che “informa”,che supera la fun­zione dell’intrattenimento e diven­ta pretesto, occa­sione, spun­to per la conoscen­za. E in questo sta il dovere di un dram­matur­go, nel trovare un codice per offrire al pub­bli­co l’occasione per super­are sé stes­so. Poco impor­ta se il pretesto sia una sera a teatro, del resto, Piran­del­lo stes­so ci inseg­na che il pretesto è pur sem­pre una banal­ità.
Ecco che la mes­sa in sce­na di UNO NESSUNO CENTOMILA, seg­na il ritorno dopo 10 anni in teatro di Enri­co Lo Ver­so. Una sedu­ta psi­coter­apeu­ti­ca affi­da­ta alla sua magis­trale bravu­ra; tut­ti ne sono attrat­ti, ma in pochi sono con­sapevoli degli sce­nari che pos­sono pro­fi­lar­si.
Ecco che 70 minu­ti sono il tem­po nec­es­sario ad affon­dare le mani nel­la pro­pria mente, ricer­care come in un déjà vu,gli ele­men­ti già noti, riconoscer­li e iniziare a guardar­li con una luce nuo­va.
Ecco che lo spet­ta­co­lo rompe gli sche­mi, toc­can­do uno dopo l’altro i con­flit­ti di un’esistenza: il rap­por­to con i gen­i­tori, i dub­bi sul­la prove­nien­za, il rap­por­to dei generi, la ricer­ca dell’identità e, infine, l’affermazione di sé.
Ecco che il pub­bli­co si nutre di testo, in silen­zio elab­o­ra, applaude e, ogni sera, ci chiede di far­lo anco­ra…

 

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