In Val di Cornia l’imperativo è demolire
CAMPIGLIA 4 settembre 2017 — Ogni tanto riappare sulla stampa il caso del silos Solvay di San Vincenzo che da anni ed anni è abbandonato a sé stesso e sottoposto ad un processo di degrado sempre più veloce, almeno da quando le strutture in acciaio sono state messe a nudo grazie all’eliminazione delle parti in cemento armato, senza che fossero sostituite da alcunché.
Tutta la vicenda è sintomatica di una periferia culturale quale è quella della Val di Cornia dove ad esempio è stato demolito a Piombino il primo altoforno e a Campiglia Marittima gran parte delle strutture della miniera di stagno di Monte Valerio di proprietà Sales.
Innanzi tutto si nota la grettezza della proprietà, che pur essendo in zona da più di cento anni, non pensa neanche lontanamente di promuovere almeno un concorso di alto livello per recuperare il silos e in qualche modo per sdebitarsi nei confronti di un territorio nel quale ha sì portato lavoro ma ha anche depredato distruggendo monti e inquinando il mare.
La Solvay, usando tutti i mezzi a disposizione per arrivare alla demolizione di un bene strumentale il cui costo è stato ammortizzato abbondantemente in quasi novanta anni, si comporta come un qualunque palazzinaro che si muove solo nell’ottica di demolire e sfruttare il più possibile quello che ha, nella totale ignoranza della sua storia e del valore intrinseco.
D’altra parte il Comune, oltre ad opporsi giustamente alla demolizione del silos, non ci risulta si sia mai preoccupato di richiedere alla Soprintendenza ai monumenti di apporre un vincolo sull’edificio, cosa che potrebbe benissimo fare e che, in caso di esito positivo, bloccherebbe definitivamente il pericolo della scomparsa di un esempio importante di archeologia industriale.
Infine non si capisce perché la Soprintendenza di Pisa e Livorno non si sia attivata autonomamente, come sembrava volesse fare più di due anni fa, per avviare e concludere l’iter necessario a vincolare l’edificio come monumento e in quanto tale passibile solo di interventi non stravolgenti e non certo di demolizione.
Che questo sia possibile lo dimostra il caso del sottoattraversamento ferroviario di Firenze il cui progetto prevedeva tra l’altro la demolizione di un edificio degli anni trenta, qualitativamente molto più modesto del silos di San Vincenzo. La demolizione è stata impedita dalla Soprintendenza di Firenze che ha riconosciuto nell’edificio un progetto dello studio dell’ing. Angiolo Mazzoni (progettista di esempi famosi di architettura in Italia) e ha ritenuto di apporre un vincolo monumentale, come previsto dalla legge n. 1089 del 1939 e seguenti.
Come si vede dall’esempio, gli strumenti per tutelare un bene ci sono anche se questo non rientra nell’immaginario collettivo dei monumenti (ville antiche, castelli, parchi storici, ecc.). Ci chiediamo allora, e vorremmo una risposta, se queste possibilità sono state sfruttate e se no per quale ragione più forte del rischio che l’edificio progettato dall’ing. Pier Luigi Nervi venga fatto sparire.
* Alberto Primi coordina il Comitato per Campiglia